Table of Contents Table of Contents
Previous Page  273 / 1029 Next Page
Information
Show Menu
Previous Page 273 / 1029 Next Page
Page Background

Fumanti et al. /

Qualità dell’ambiente urbano – XI Rapporto (2015)

ISPRA Stato dell’Ambiente 63/15 pagg. 206 – 219

212

L’indicatore considera gli insediamenti estrattivi di minerali di prima categoria, con

l’esclusione delle fonti energetiche fluide e delle sorgenti di acque minerali e/o termali,

presenti sul territorio nazionale dal 1870 ad oggi. Oltre a definire la diffusione sul

territorio di siti estrattivi e dei relativi impianti di servizio (bacini di laveria, discariche

di scarti, ecc.), fornisce indicazioni circa l’esistenza di possibili focolai di diffusione di

sostanze inquinanti connesse sia alla presenza dei materiali di scarto delle lavorazioni,

sia, per quanto riguarda i siti dismessi, alla struttura e geometria dell’area coltivata

(gallerie in sotterraneo) che, intersecando le falde profonde e mettendole a contatto

con le mineralizzazioni scoperte e rimaste in posto, costituiscono a loro volta

sorgente di contaminazione. Gli insediamenti sopra citati sono, inoltre, indice di

degradazione del suolo, in quanto le attività antropiche a essi collegate comportano il

consumo di risorse non rinnovabili, determinano perdite di coperture pedologiche,

possono essere causa di degrado qualitativo sia del suolo sia delle falde acquifere,

modificano la morfologia naturale con possibile ripercussione sulla stabilità dei

versanti, creano le condizioni per l’instaurarsi di aree degradate, per l’abbandono delle

strutture e dei macchinari di pertinenza dei siti, e/o di discariche abusive di rifiuti. Va,

infine, sottolineato come, in funzione del tipo di coltivazione mineraria e delle

tecnologie di arricchimento, delle caratteristiche del minerale estratto e della roccia

incassante, il processo di degrado delle strutture di pertinenza degli insediamenti

estrattivi può provocare: crolli in sotterraneo, con conseguenti smottamenti e

subsidenze in superficie; crolli in superficie delle dighe dei bacini di laveria e/o dei

depositi di discarica degli sterili, con conseguenti frane, alluvioni, inquinamenti delle

acque superficiali.

L’attività mineraria è stata diffusa nella quasi totalità del territorio nazionale, con un

trend

in continua ascesa sino alla metà del secolo scorso per poi decrescere in

particolare con il progressivo abbandono dell’estrazione di minerali metallici.

Attualmente l’attività è praticamente residuale e legata sostanzialmente alla presenza

di miniere di marna da cemento, di minerali ceramici (feldspati, caolino, refrattari) e a

uso industriale (bentonite, terre da sbianca) mentre l’estrazione di minerali metallici è

estremamente limitata. Da un punto di vista del rischio ecologico-sanitario, le miniere

oggi in attività sono meno impattanti rispetto a quelle di minerali metallici, i cui scarti

presentano elevate concentrazioni di sostanze inquinanti. Rimane irrisolto il problema

del recupero di siti minerari abbandonati (con le relative discariche degli scarti e i

bacini di laveria), non ancora oggetto di un intervento organico. La bonifica dei siti

minerari, oltre all’eliminazione dei rischi ecologico-sanitari e statico-strutturali,

potrebbe portare al recupero di una memoria storico-sociale, particolarmente

importante in certe realtà (si pensi alla Sardegna e alla Sicilia), cui potrebbe

affiancarsi anche un’attività economica turistico-museale. A tal proposito è stato

firmato un protocollo d’intesa ISPRA-parchi/musei minerari finalizzato alla creazione di

una Rete Nazionale dei Parchi e dei Musei geominerari italiani con lo scopo principale

di promuovere la valorizzazione/conservazione del patrimonio minerario dismesso

sulla base di criteri stabiliti da una normativa dedicata.

MINIERE ATTIVE E DISMESSE