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Box 3 - Il consumo di suolo in Italia e le politiche di limitazione, mitigazione e

compensazione dell’impermeabilizzazione

Gli impatti negativi della perdita di suolo, questa preziosa e limitata risorsa ambientale, sono ben

riconosciuti a livello scientifico ed è ormai condivisa, anche a livello politico, la necessità di porre

un freno ai fenomeni dell’espansione urbana e della progressiva cementificazione del territorio, che

sono la causa principale di un consumo di suolo spesso irreversibile.

L’obiettivo dell’azzeramento del consumo di suolo era stato definito a livello europeo già con la

Strategia tematica per la protezione del suolo del 2006, che aveva sottolineato la necessità di porre

in essere buone pratiche per ridurre gli effetti negativi del consumo di suolo e, in particolare, della

sua forma più evidente e irreversibile: l'impermeabilizzazione (soil sealing). Questo obiettivo

generale è stato ulteriormente richiamato nel 2011, con la Tabella di marcia verso un’Europa

efficiente nell’impiego delle risorse, nella quale si propone il traguardo di un incremento

dell’occupazione netta di terreno pari a zero da raggiungere, in Europa, entro il 2050. Obiettivo

rafforzato in seguito dal Parlamento Europeo con l'approvazione del Settimo Programma di Azione

Ambientale. Il 2015 è stato anche proclamato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite «Anno

internazionale dei suoli», una proclamazione che ricorda come il suolo rappresenti l’essenza della

vita, una risorsa essenziale per il mantenimento dell’equilibro dell’intero ecosistema e per la

conservazione del patrimonio naturale.

Tuttavia, in Italia e nelle nostre città si continua a trasformare il suolo, spesso senza

preoccupazione per le attività agricole, le aree ad alta valenza ambientale o le caratteristiche

idrogeologiche. Un destino amaro quello del fragile suolo italiano, e non solo, che viene perso alla

velocità di 7 metri quadrati al secondo, con danni irreversibili per l’umanità e per l’ambiente. Un

processo finora mal regolamentato, che ha comportato risultati devastanti: il nostro Paese ha un

livello di consumo di suolo tra i più alti in Europa. Il fenomeno è arrivato a livelli intollerabili

anche in alcune delle aree più importanti del nostro territorio: le pianure e le zone agricole più

produttive (in Pianura Padana il consumo è salito al 12%), le aree costiere più rinomate, le rive di

fiumi e laghi e andando a coprire anche il 9% delle zone a pericolosità idraulica, aumentando

l’esposizione ai fenomeni di dissesto. Quasi il 20% della fascia costiera italiana è perso ormai

irrimediabilmente. Si è costruito sul 19,4% (oltre 500 Km2) di suolo compreso tra 0-300 metri di

distanza dalla costa e su quasi il 16% compreso tra i 300 e i 1.000 metri. Le aree costiere con i

valori più elevati si registrano in Liguria, nella Toscana settentrionale, nelle province di Roma e

Latina, in buona parte della Campania, della Puglia e della Sicilia, e lungo la costa adriatica da

Ravenna e Pescara. In Liguria e nelle Marche la copertura artificiale di territorio entro i 300 metri

dalla costa arriva al 40% (Figura 1, Figura 2).