Qualità dell’ambiente urbano – XI Rapporto (2015) – Capitolo 7
ISPRA Stato dell’Ambiente 63/15. ISBN 978-88-448-0749-8,
www.isprambiente.gov.itGli incidenti stradali rappresentano una esternalità negativa della mobilità stradale.
Nel contributo
7.3
si è analizzato il fenomeno considerando il numero di incidenti sia a
livello nazionale che negli 85 Comuni oggetto di studio, negli anni 2006-2013. In Italia
il 2013 registra una diminuzione rispetto all’anno precedente degli incidenti stradali;
per gli 85 Comuni, il 56% circa ha seguito il medesimo andamento del livello
nazionale e il rimanente 44% ha registrato un aumento. Anche nel 2013 il maggior
numero di incidenti è avvenuto in ambito urbano (circa il 75%), con il 42% dei morti e
il 72% dei feriti. Particolare attenzione si è posto al problema degli utenti deboli della
strada (pedoni, ciclisti e motociclisti). A livello nazionale il numero di morti e feriti
(considerati complessivamente: morti+feriti) riguardante gli utenti deboli della strada
è pari al 44% del totale. Negli 85 Comuni considerati tale rapporto è pari al 48%.
Inoltre negli 85 Comuni, il numero dei morti, nel periodo 2006-2013 è diminuito del
39% (del 7,5% tra il 2012 ed il 2013). Il numero dei feriti, sempre nel periodo
2006-2013, è diminuito del 27% (del 5% tra il 2012 ed il 2013). È in
controtendenza il dato relativo ai ciclisti, il cui numero di morti+feriti è aumentato del
23% tra il 2006 ed il 2013 e fortunatamente in diminuzione nell’ultimo anno del 4%.
Le Zone 30 istituite da varie amministrazioni comunali sono caratterizzate da: un
limite di velocità di 30 km/h, la precedenza dei pedoni rispetto ai veicoli e una migliore
qualità degli spazi; esse mirano a ridurre principalmente l’incidentalità stradale. Nel
2013, nell’ambito degli 85 Comuni considerati, sono 52 quelli che hanno istituito una
o più Zone 30 (più della metà si trovano nelle regioni del Nord d’Italia), con 7 Comuni
in più rispetto al 2012.
Molte aree portuali italiane si trovano inserite in contesti densamente urbanizzati
provocando una condivisione forzata di spazi e di infrastrutture fra il porto e la città.
Recentemente, si sta assistendo al trasferimento di attività portuali al di fuori del
tessuto urbano per sfruttare una miglior funzionalità dei collegamenti e quindi una
maggior fluidità del trasporto e del traffico delle merci; infatti, il buon funzionamento
delle attività portuali richiede soprattutto infrastrutture moderne e collegamenti
efficienti con la rete ferroviaria e stradale che evitino di sovrapporre il traffico legato
alle attività del porto al traffico urbano.
Nel paragrafo
7.4
sono stati presi in esame 4 indicatori di pressione ambientale per
20 porti la cui circoscrizione territoriale ricade nell’ambito delle aree urbane prese in
esame; in particolare, 18 porti sono sede di Autorità Portuale (Ancona, Bari, Brindisi,
Cagliari, Catania, Genova, La Spezia, Livorno, Messina, Napoli, Olbia, Palermo,
Ravenna, Salerno, Savona, Taranto, Trieste e Venezia), il porto di Barletta ricade nella
circoscrizione territoriale dell’Autorità Portuale di Bari mentre il porto di Pescara è
sede di Autorità Marittima. In particolare, gli indicatori proposti riguardano il traffico
merci, il trasporto passeggeri, la presenza di pagine
web
dedicate all’ambiente e
l’eventuale conseguimento di certificazioni ambientali riconosciute (ISO 14001,
EMAS, PERS).
Nell’insieme dei porti osservati, nel 2013 sono state movimentante circa 350 milioni
di tonnellate di merci e sono transitati 32 milioni di passeggeri, valori stabili rispetto
a quanto osservato nel 2012. Quasi tutti i porti hanno pagine
web
in cui sono
riportate informazioni dedicate a tematiche ambientali e sono ben 8 le Autorità
Portuali che hanno conseguito certificazioni ambientali.
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